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Privacy Gdo, Cassazione rigetta appello contro una condanna per violazione
Una sentenza della Cassazione civile (n. 4331 del 30 gennaio 2014) rigetta il ricorso presentato da un imprenditore della distribuzione contro la condanna al pagamento dell’ammenda di € 200 che il Tribunale di Lodi gli aveva inflitto il 4 giugno 2012 per il reato di cui all’art. 4, comma 2 Legge 300/1970.
Garante Privacy: nel mirino i supermercati con videosorveglianza non a norma
La legittima esigenza di tutelare il patrimonio, di proteggersi da furti e rapine con impianti di videosorveglianza, non autorizza i supermercati a operare in violazione delle libertà fondamentali e della dignità di dipendenti e clienti.
Lo ribadisce il Garante in seguito ai risultati di un’attività ispettiva nel settore della grande distribuzione, che ha rilevato come numerose società non avevano rispettato le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori, dalla normativa sulla privacy e dal provvedimento generale in materia di videosorveglianza predisposto dalla stessa Autorità.
Dagli accertamenti disposti dal Garante, è emerso, ad esempio, che tra le società sottoposte ad ispezione, cinque non avevano ottenuto un preventivo accordo sindacale o richiesto l’apposita autorizzazione al competente ufficio del Ministero del lavoro.
A tal proposito, l’Autorità ha sottolineato che non è sufficiente che i lavoratori siano stati informati o che abbiano addirittura acconsentito all’installazione del telecamere per far venir meno le specifiche tutele previste dalla normativa o lo stesso divieto di controllo a distanza.
Una sesta società, a differenza dalle precedenti, aveva sì ottenuto l’autorizzazione dell’ufficio ministeriale ad installare l’impianto di videosorveglianza, ma non ne aveva poi rispettato tutte le prescrizioni.
Dalle verifiche condotte, sia a campione sia in seguito a segnalazioni, dal Nucleo Speciale Privacy della Guardia di Finanza, sono state riscontrate anche altre violazioni: alcuni esercizi commerciali conservavano le immagini per un arco temporale non giustificato da esigenze specifiche (ad esempio, per ripetuti furti o rapine) così come invece stabilito dal provvedimento generale del Garante in materia di videosorveglianza.
Due dei supermercati controllati dal Garante, inoltre, non avevano provveduto a segnalare adeguatamente la presenza delle telecamere con appositi cartelli o avevano omesso di indicare chi fosse il titolare del trattamento.
Il legale rappresentante di un supermercato aveva addirittura dichiarato al nucleo ispettivo che l’impianto di videosorveglianza non era in funzione, salvo poi doversi smentire di fronte alle evidenze raccolte.
L’Autorità ha dichiarato illecito il trattamento dei dati personali effettuato dalle sei società tramite i sistemi di videosorveglianza e ha disposto che tutti gli esercizi commerciali si adeguino entro trenta giorni alle misure prescritte alla luce della normativa sulla privacy e dallo Statuto dei lavoratori. Sono in arrivo ulteriori provvedimenti nei confronti di altre società della grande distribuzione.
Fonte:Newsletter Garante Privacy del 31 ottobre 2013
La società di riscossione che chiede di sapere le somme dovute al debitore non viola la privacy
Non viola la privacy la società di riscossione che per effettuare il pignoramento presso terzi chiede ai clienti del contribuente moroso una dichiarazione delle somme a lui dovute. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 17203 depositata l’11 luglio 2013. Una società di riscossione, poi confluita in Equitalia, nel 2003 ha chiesto a tutti i clienti di un consulente del lavoro moroso la compilazione di un questionario, con valore di dichiarazione stragiudiziale, per conoscere l’esistenza di somme dovute al professionista.
Il tutto è stato effettuato per eseguire un pignoramento presso terzi per il soddisfacimento del credito erariale. A seguito del questionario, secondo quanto asserito dal consulente, molti clienti hanno preferito definire il rapporto rivolgendosi altrove, per cui il professionista ha convenuto in giudizio il concessionario per la riscossione e l’autorità garante chiedendo il risarcimento dei danni.
Il Tribunale ha rigettato la domanda sostenendo che le norme consentono l’uso di dati personali nello svolgimento di funzioni istituzionali per la riscossione dei tributi. Il diritto di riservatezza non poteva ritenersi leso da una richiesta di dichiarazione stragiudiziale. Contro questa pronuncia il contribuente ha fatto ricorso in Cassazione, ma la Suprema corte ha respinto il tutto fornendo chiarimenti sulla tutela della privacy in materia di tributi.
In primo luogo ha affrontato la questione del trattamento dei dati personali da parte di soggetti pubblici, disciplinata dalla legge 675/1996 (successivamente Dlgs 196/2003). La comunicazione e la diffusione di queste informazioni, da parte di soggetti pubblici a privati o ad altri enti pubblici, sono ammesse solo se previste da leggi o regolamenti. La disciplina può essere adottata anche quando è diretta all’applicazione delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.
Secondo la Cassazione si deve concludere che, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, il creditore procedente, nel caso Equitalia, agisce sulla base di una legge e quindi non viola la privacy.
Inoltre, l’articolo 75-bis del Dpr 602/1973, che disciplina la dichiarazione stragiudiziale del terzo ai fini della riscossione, prevede che il concessionario, prima di procedere con azioni esecutive, possa chiedere a soggetti debitori del contribuente di indicare per iscritto le somme da loro dovute. Il comma 3 precisa infatti che gli agenti della riscossione possono procedere al trattamento dei dati acquisiti senza informare il diretto interessato, in deroga quindi al Dlgs 196/2003.
Fonte: il sole 24 ore
[hupso]
Stop alle telecamere occulte sul posto di lavoro
Stop alle telecamere occulte sul posto di lavoro. Il Garante per la privacy ha vietato alla società editrice di un quotidiano del sud il trattamento dei dati personali effettuato attraverso apparati di ripresa installati in modo occulto presso la propria sede.
Dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza su mandato del Garante, è emerso che quindici delle diciannove telecamere di cui è composto l’impianto di videosorveglianza erano state nascoste in rilevatori di fumo o in lampade di allarme, all’insaputa dei lavoratori, ai quali non era stata fornita alcuna informativa sulla presenza dell’impianto, né individualizzata, né semplificata (ad es. cartelli visibili, collocati prima del raggio di azione delle telecamere).
Le uniche informazioni, peraltro insufficienti, erano scritte su un cartello di piccole dimensioni (15×15 cm), affisso a tre metri di altezza nell’ingresso del luogo di lavoro. Nel disporre il divieto, il Garante ha ritenuto che la società abbia operato un illecito trattamento di dati personali, avendo agito in violazione del diritto alla riservatezza e della dignità dei lavoratori, nonché delle norme che ne vietano il controllo a distanza.
L’impianto, infatti, oltre a violare le norme del Codice privacy, era stato attivato senza rispettare quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori (accordo con i sindacati o autorizzazione al Ministero del lavoro). A seguito dell’intervento del Garante, la società non potrà più utilizzare i dati raccolti e dovrà limitarsi alla loro conservazione per consentire un’eventuale attività di accertamento da parte delle autorità competenti.
Il Garante, inoltre, avendo rilevato anche irregolarità nella raccolta dei dati personali degli abbonati alla testata giornalistica, ha prescritto alla società di riformulare la modulistica cartacea e quella online, inserendo tutte le informazioni sull’uso dei dati necessarie per renderla conforme alla normativa.
Fonte: Newsletter Garante Privacy del 24 maggio 2013
Privacy e Videosorveglianza in condominio (nuove disposizioni)
Roma – Il 18 giugno 2013 entrerà in vigore la legge 220 dell’11 dicembre 2012, pubblicata in G.U. 293 del 17 dicembre 2012 che ha riformato l’articolo 1122-ter Codice Civile. Diventa quindi definitiva la normativa sulle delibere delle assemblee in relazione all’installazione degli impianti di videosorveglianza nei condomini.
Riportiamo una sintesi tratta dagli articoli di Paola Pontanari e Luigi Salciarini del Sole 24 Ore sulle prescrizioni dell’art. 1122-ter Codice Civile:
1. la nuova norma ha per oggetto le delibere dell’assemblea riguardanti l’installazione di impianti di “ videosorveglianza” limitandosi a indicare i relativi quorum maggioritari necessari affinché la decisione sia assunta validamente. Non sono forniti chiarimenti su quale tipologia di impianto si riferisca, salvo l’indicazione che il sistema deve consentire la visione dei luoghi condominiali;
2. la norma si occupa della “videosorveglianza delle parti comuni” non occupandosi del luogo ove l’impianto è installato. Pertanto, le prescrizioni vanno applicate perché le “parti comuni” sono oggetto di videosorveglianza, a prescindere dal punto in cui sono installati i dispositivi , che potrebbe anche essere non in comune;
3 . se necessario, si possono applicare le regole riguardanti il cosiddetto “condominio parziale”, in base alle quali, se il bene e/o l’impianto fornisca utilità solo a un gruppo di condomini, la ripartizione dei costi di esercizio e/o di conservazione deve essere effettuata all’interno dei relativi componenti, esclusi i soggetti che non ricevono la predetta utilità;
4. l’adozione della decisione risulta di competenza dei condomini, intesi come proprietari/intestatari delle porzioni di piano comprese nell’edificio, con l’esclusione implicita di altre tipologie di “abitanti”, a partire dagli eventuali conduttori/ inquilini. Tale esclusione è incomprensibile se si considerano gli aspetti relativi alla tutela della “privacy”, la quale va certamente riferita anche a coloro che stabilmente abitano l’edificio, senza esser necessariamente titolari di diritti immobiliari. Il problema era stato già esaminato dal Garante della privacy il quale, in un suo provvedimento del 13 maggio 2008 (“Segnalazione al Parlamento e al Governo sulla videosorveglianza nei condomini”), evidenziava che non era chiaro «se l’installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in base alla sola volontà dei proprietari… o se rilevi anche la volontà di coloro che rivestono la qualità di conduttori».
In ogni caso, a prescindere dalla validità della delibera assembleare, l’installazione del sistema di videosorveglianza deve rispettare i principi espressi dal Garante della privacy il 29 aprile 2004, secondo i quali:
- l’installazione della videosorveglianza all’interno di edifici abitativi, benché non sia soggetta al Codice quando i dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi, richiede comunque l’adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, D.Lgs. 196/2003);
- nel caso di ripresa video di aree private ( effettuata da singoli soggetti), al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis cod. pen.), l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di esclusiva pertinenza, per esempio antistanti l’accesso all’abitazione, escludendo ogni forma di ripresa anche senza registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini;
- nel caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più condomini o del condominio, l’installazione dei relativi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano, per esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico). In quest’ultimo caso va effettuata la necessaria valutazione di proporzionalità (cfr. art. 11, Codice privacy) in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare (per esempio, sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi).
- restano ovviamente validi i precetti relativi alla “ informativa”, che va effettuata mediante l’esposizione – nei luoghi oggetto della ripresa video – di cartelli di avvertimento visibili anche di notte se le telecamere lavorano in orario notturno, e di uno specifico avviso se sono collegate alle forze dell’ordine o a istituti di vigilanza. Il limite di conservazione delle immagini è di 24 ore, fatte salve specifiche esigenze di natura giudiziaria.
Cassazione OK alle prove videoregistrate
Roma – Importante sentenza della II Sezione Penale della Corte di Cassazione del 31 gennaio 2013 n. 6812, che ha confermato l’irrilevanza, in sede di procedimento per reati penali, del fatto “che siano state rispettate o meno le istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali, poiché la relativa disciplina non costituisce sbarramento all’azione penale”
La sentenza non era scontata perché equipara le videoregistrazioni effettuate da sistemi di privati, in determinati casi, a quelle eseguite dalla Polizia Giudiziaria in assenza di autorizzazione del Giudice, anche se non sono state rispettate le regole per la protezione delle privacy. Nel fatto di specie, l’accusa aveva utilizzato filmati tratti dall’impianto di videosorveglianza collocato all’esterno del negozio della vittima di atti persecutori e, in continuazione tra loro, di tentata estorsione, molestie, danneggiamento e ingiurie.
Queste le motivazioni della II Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 6812 del 31 gennaio 2013:
“1. Il ricorso è infondato.
2. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, le censure sono destituite di fondamento. L’art. 234 del codice di rito testualmente statuisce: “È consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
3. Pertanto le videoregistrazioni dell’impianto di sorveglianza apposto dalla persona offesa all’esterno del suo negozio non possono essere considerate prove illegittimamente acquisite ai sensi dell’art. 191, trattandosi di prove documentali di cui il codice di rito espressamente consente l’acquisizione. In tale contesto è del tutto irrilevante che le registrazioni siano state effettuate, in conformità o meno, delle istruzioni del Garante per la Protezione dei dati personali, non costituendo la disciplina sulla privacy sbarramento all’esercizio dell’azione penale. Del resto, con riferimento alle videoriprese effettuate dalla Polizia giudiziaria, questa Corte ha avuto modo di statuire che sono legittime le videoriprese, eseguite dalla polizia giudiziaria, in assenza di autorizzazione del giudice, mediante telecamera esterna all’edificio e aventi per oggetto l’inquadramento del davanzale della finestra e del cortile dell’abitazione, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone. Ne deriva che, in virtù di detta percepibilità esterna, non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla “privacy”, ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l’uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10697 del 24/01/2012 Ud. (dep. 19/03/2012) Rv. 252673).”
Fonte:Securindex
Brindisi online le multe con tutti i dati dei trasgressori!
Se guidando in auto nella città di Brindisi prendete una multa, non nascondetelo a vostra moglie, ma soprattutto non lo dite a nessuno fuori dalle mura domestiche, tanto lo sapranno già tutti, semplicemente con un click.
Tutte i verbali di accertamento di violazioni stradali sono infatti a portata di mouse sul sito del Comune. Che da inizio 2011, fosse obbligatorio per i comuni istituire l’albo pretorio online, (rispettando le prescrizioni del Garante della Privacy), era cosa nota, ma che su detto albo dovessero essere pubblicate tutte le multe comminate agli automobilisti per 20 lunghi giorni, con tanto di nome, cognome, data di nascita, residenza, tipo e targa del veicolo, dettagli dell’infrazione, etc. come fa il Comune di Brindisi, è quantomeno atipico.
E la cosa nella zona è pure risaputa da qualche tempo, si sono mosse le associazioni di consumatori, che lo scorso 3 dicembre hanno informato il Garante della Privacy, il quale ha aperto un fascicolo ad oggi ancora in lavorazione presso il Dipartimento Libertà Pubbliche e Sanità. “Purtroppo – afferma il presidente provinciale dell’associazione di consumatori Aduc, Giuseppe Zippo – tutte quelle informazioni riservate continuano a restare disponibili e accessibili a tutti.
Chiunque, infatti, aprendo dal sito istituzionale la finestra “Albo Pretorio” e, poi, “Documenti Pubblicati” è in grado di appurare quanti e quali brindisini sono stati destinatari di verbali di accertamento per infrazioni al Codice della Strada.
Una cosa davvero assurda che potrebbe creare problemi a più di qualcuno che, magari, ha tutto l’interesse a non rendere pubblico dove e perché si trovava in un posto in quel preciso istante. Sembrano banalità, ma in realtà si tratta di concrete intromissioni nella vita privata dei cittadini, di pubblicazione, cioè, di dati personali sensibili che, a mio avviso, configurano violazioni della privacy.
Ho anche scritto al Comune (affinché siano verificate quanto prima le condizioni di legittimità di tale pubblicazione al fine di evitare ulteriori possibili violazioni che rischiano di penalizzare oltremodo i cittadini coinvolti negli accertamenti».
«L’Adoc – conclude Zippo – resta in attesa del pronunciamento dell’Autorità Garante, a seguito della quale esperirà qualsiasi azione di sua competenza per salvaguardare la riservatezza dei propri rappresentati». Staremo a vedere, nel frattempo, se passate per Brindisi a insaputa di vostra moglie, attenzione a non parcheggiare in divieto di sosta, e guidate piano se non volete divorziare!
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno
Videosorveglianza nei musei
I musei delle Marche di Ancona, Numana, Urbisaglia ed Ascoli Piceno potranno conservare per trenta giorni le immagini raccolte dai sistemi di videosorveglianza, per specifiche e comprovate esigenze di sicurezza. Lo ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali che ha accolto la richiesta della Soprintendenza marchigiana per i beni archeologici di poter prolungare il tempo di conservazione delle immagini per un periodo superiore a quello previsto dal provvedimento generale in materia di videosorveglianza adottato nel 2010 dall’Autorità.
La richiesta della Soprintendenza era supportata da una istanza del Comando Legione dei Carabinieri “Marche” nella quale si affermava l’esigenza di conservare per trenta giorni le videocassette con le immagini riprese da telecamere allo scopo di prevenire ed eventualmente reprimere sottrazioni di opere d’arte di interesse storico artistico presenti nei musei e pianificare la vigilanza presso siti che potrebbero essere maggiormente esposti a minacce terroristiche.
Nel dare il via libera alla possibilità di conservare le immagini per trenta giorni, (Newsletter Garante Privacy del 12.12.2012) l’Autorità ha spiegato che il periodo di 24 ore previsto per la conservazione delle immagini, estendibile in alcuni casi per un massimo di una settimana, può essere allungato per un periodo ulteriore in presenza di concrete situazioni di rischio riguardanti eventi realmente incombenti e comunque previa verifica preliminare da sottoporre alla stessa Autorità. L’allungamento del periodo di conservazione può essere previsto anche nei casi in cui vi sia necessità di aderire alla richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia, motivata da un’attività investigativa in corso.
Fonte: Corriere della Privacy